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Napoli curiosa

Curiosità della tradizione e del folklore napoletano

Pulcinella, nato dal pollicino
Pulcinella, la maschera napoletana per eccellenza nasce dalla Commedia dell'Arte. Il nome sembra derivare da "pollicino", che in napoletano significa pulcino, nome con cui erano chiamati i giullari che si servivano di una pivetta per rendere chioccia la voce. Così la maschera nera, il naso che sembra un becco e la voce chioccia servono a richiamare l'aspetto del piccolo animale. La nascita di Pulcinella fu un gioioso evento per la comicità napoletana: il suo carattere è allegro, spensierato; la sua ironia è disincantata, ma come è tipico del popolo partenopeo è eccezionale la disponibilità verso il mondo, incappando attraverso mille complicati e paradossali eventi. Pulcinella è mimica napoletana e danza, comicità e ironia, scaltrezza e generosità e sa prendere e dare le botte come il suo popolo.

La festa di Piedigrotta
Piedigrotta, che per molti è associata al festival della canzone napoletana, in realtà nasce come festa sacra in onore della Vergine Maria, nata a sua volta da un'antica festa pagana per ingraziarsi il dio Priapo. La festa si svolge in tre giorni e tre notti dal 6 al 8 Settembre. Il cuore della festa di Piedigrotta si sviluppa dov'è il santuario della Madonna e cioè in corrispondenza delle rovine del tempio di Priapo. Nei giorni della festa si allestiscono luminarie, sfilate di carri allegorici, bancarelle per corpose mangiate, farse, canti, danze e naturalmente processioni religiose imponenti. L'ultima sera dei festeggiamenti si realizza un fantastico spettacolo pirotecnico, che mette tutta Napoli col naso in su.

La leggenda della cappella del principe di Sansevero
La cappella fu fatta costruire nel 1590 da Giovanni Francesco di Sangro per ospitare un'immagine della "Pietà", ritenuta miracolosa, ma nel 1608 divenne la cappella per le sepolture della nobile famiglia. La fama di questo monumento è però dovuta ad un celebre personaggio, il principe Raimondo di Sangro. Le leggende sul principe di Sansevero sono innumerevoli. C'è chi lo vuole incarnazione del Faust, chi sostiene che avesse fatto un patto col diavolo. Nella cripta della cappella troviamo due macchine anatomiche di un uomo e di una donna, si narra che fossero due servi del principe che fece uccidere ed imbalsamare in modo tale che si potessero vedere visceri, arterie e vene. Si racconta, inoltre, che accecò l'artista Giuseppe Sanmartino, autore della statua del Cristo morto, che si trova al centro della cappella, affinché non realizzasse a nessun altro una così straordinaria scultura. Si racconta che quando il principe sentì vicina la morte, ordinò che lo si tagliasse a pezzi e impose di posizionarlo in una cassa secondo determinate regole, sarebbe così rinato a tempo debito. Questo non avvenne soltanto perché la famiglia alzò il coperchio della bara prima del tempo fissato; il principe balzò sì dalla tomba, urlò come un dannato, ma purtroppo lì ricadde, perché non era ancora perfetta la saldatura.

D'Annunzio alle prese col napoletano
Napoli ha sfidato un grande poeta come D'Annunzio ad integrarsi con la sua lingua. Il Vate, che verso la fine dell'Ottocento si trovava nella città partenopea per una breve vacanza, trascorreva le sue giornate in compagnia dell'amico e cantore, Ferdinando Russo. Un giorno i due letterati, sedevano ai tavolini del famoso caffè Gambrinus. Qui per divertimento Ferdinando Russo sfidò D'Annunzio a scrivere una canzone in napoletano. Il Vate disse all'amico di scrivere i versi che egli avrebbe dettato. Nacque così in pochi minuti "A vucchella", poesia musicata poi da Testi e incisa per la prima volta nel 1904.

San Gennaro e il Vesuvio
A Napoli e nei comuni vesuviani il culto di san Gennaro è legato soprattutto alla spaventosa eruzione del Vesuvio del dicembre del 1631. E' devozione popolare invocare il santo contro le bruciature e il soffocamento dovuto alla nube carica di zolfo, proprio perché si racconta che mentre si portava in processione il santo, all'altezza del suo passaggio a Porta Capuana, la lava si immobilizzò. Palumbo e Barra realizzarono, allora, un dipinto in cui il santo a grandezza naturale sale in cielo per intercedere con la Trinità, affinché il Vesuvio cessi di eruttare. Da allora, ad ogni rito della liquefazione del sangue del santo, nel Duomo di Napoli c'è una folla nutrita di fedeli, che attendono il miracolo, che significa sicurezza e futuro per il popolo napoletano.